Ritrovamenti

Ho aperto d’istinto la finestra su questa sera di novembre, non so come d’improvviso ho capito che pioveva; sono chiusa in questa casa dal pomeriggio di ieri, a volte non è naturale per me cercare di vedere cosa accada fuori. Dal buio della camera, ho osservato la mia vecchia casa, luci coperte dalle tende, colpi di tosse da una finestra aperta, al quarto piano le due studentesse che fumano silenziose sul balcone e la domenica stendono ad asciugare copriletto bellissimi. Ho cercato di sentire a distanza e senza udito la loro gioventù, sentire per un attimo quanta ce ne sia ancora dentro di me. Ci sono riuscita. E’ così lenta la vita quando si cresce, anche quando ci si affanna, anche quando il tempo sembra che non basti, e poi invece basta sempre. Ho pensato alle feste del liceo, alle camicie indiane, all’uscita di scuola, ai viaggi senza cellulare, alle penne che scrivono sulla carta, ai francobolli, alle serie tv da centoventidue puntate, alle attese. Ho pensato che è un privilegio imparare a ricordare senza nostalgia, come quei gesti teneri che senti ancora mentre stai scivolando nel sonno e al risveglio non ti mancano. Ho pensato che il senso di solitudine che mi mangiava la voce non viene a trovarmi da tanto tempo, ho pensato che non mi manca, come non mi mancano le camicie indiane e le feste del liceo, e che un giorno prenderò tutte queste piccole fotografie di me e ci farò una coperta, come si fa nei film americani, e sarà forte il caldo che terrà. Ho pensato che stanotte dormirò bene, che mi addormenterò pensando a quando cantavamo Losing my religion per le strade di Venezia, e ci vestivamo malissimo e ridevamo per tutto ma in fondo eravamo tanto tristi. E penserò che sono grata a questa mia stramba vita per avermi lasciato capire le cose con lentezza e avermi fatto mantenere intatto un cuore abbastanza grande da contenerle tutte.

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