Così com’è.

Quel giorno improvvisamente mi hai chiesto “Secondo te cosa fanno gli scrittori quando non scrivono?” e io ti ho risposto “Fumano.” Una giornata in fiamme di un tempo in fiamme e poi noi, illesi. La fontana che sgorga vino che la notte la spengono perchè nessuno si illuda, il ponte che sembra stia sospeso per miracolo e quel paesaggio storto, così storto che andavamo bene così come eravamo. Noi che siamo ancora dall’altra parte della fotografia, noi che ridiamo, noi che sappiamo che il tempo è solo questo e non ce ne saranno altri, noi che sbirciamo il mondo da questo piccolo spazio che sembra un grandangolo a ripensarci adesso. Se avessimo avuto un altro minuto o un’altra ora o un altro giorno sarebbero stati così silenziosi e calmi e certi. Così presenti. Come quei film senza sonoro che solo il fruscio della pellicola ci avrebbe tenuti svegli ad osservare. Senza il cielo, senza le smorfie, senza quell’aria unica che arriva dal mare e si lascia respirare per sempre. Te l’avevo promesso che ci sarei tornata ma non l’ho fatto, impegnata com’ero a non essere troppo per non chiedere troppo per non dirti restiamo, non andiamo via. E anche se non l’ho detto è ancora lì che mi puoi cercare, accanto alla fontana che sgorga il vino e che la notte la spengono, sul ponte antico rovinato dal sale, su quell’orizzonte storto che non abbiamo mai pensato di raddrizzare, come le brutte fotografie scattate di fretta che non hai cuore di cancellare.

Ritrovamenti

Ho aperto d’istinto la finestra su questa sera di novembre, non so come d’improvviso ho capito che pioveva; sono chiusa in questa casa dal pomeriggio di ieri, a volte non è naturale per me cercare di vedere cosa accada fuori. Dal buio della camera, ho osservato la mia vecchia casa, luci coperte dalle tende, colpi di tosse da una finestra aperta, al quarto piano le due studentesse che fumano silenziose sul balcone e la domenica stendono ad asciugare copriletto bellissimi. Ho cercato di sentire a distanza e senza udito la loro gioventù, sentire per un attimo quanta ce ne sia ancora dentro di me. Ci sono riuscita. E’ così lenta la vita quando si cresce, anche quando ci si affanna, anche quando il tempo sembra che non basti, e poi invece basta sempre. Ho pensato alle feste del liceo, alle camicie indiane, all’uscita di scuola, ai viaggi senza cellulare, alle penne che scrivono sulla carta, ai francobolli, alle serie tv da centoventidue puntate, alle attese. Ho pensato che è un privilegio imparare a ricordare senza nostalgia, come quei gesti teneri che senti ancora mentre stai scivolando nel sonno e al risveglio non ti mancano. Ho pensato che il senso di solitudine che mi mangiava la voce non viene a trovarmi da tanto tempo, ho pensato che non mi manca, come non mi mancano le camicie indiane e le feste del liceo, e che un giorno prenderò tutte queste piccole fotografie di me e ci farò una coperta, come si fa nei film americani, e sarà forte il caldo che terrà. Ho pensato che stanotte dormirò bene, che mi addormenterò pensando a quando cantavamo Losing my religion per le strade di Venezia, e ci vestivamo malissimo e ridevamo per tutto ma in fondo eravamo tanto tristi. E penserò che sono grata a questa mia stramba vita per avermi lasciato capire le cose con lentezza e avermi fatto mantenere intatto un cuore abbastanza grande da contenerle tutte.

Neve

Ci salveranno le relazioni, i patti che abbiamo stretto, le cose dette in disparte, gli abbracci promessi, le risate di notte. Ci salverà aver tentato anche senza riuscire, riconoscerne il passo, dimenticare chi siamo stati, risolverci, snodare. Con le nostre scatole di cartone, gli spaghi, le lunghe attese e le crepe da cui si dice si intraveda la luce; ci salverà sentirci salvi, non per una volta, non solo oggi, salvi per davvero. Vi parlo da questa vista di neve, senza raccontare di quando la neve ancora non c’era nè immaginare quando di nuovo si scioglierà, vi parlo di adesso, di questi rumori attutiti e della luce notturna e delle orme che lascio anche da ferma. Voglio aprire un varco sul mio cuore, che si intraveda la tavola imbandita su cui si è posata la polvere, il crollo, la rinascita. Le cento versioni di me. E in questo varco farvi arrivare a me e ugualmente raggiungervi, portarvi sulla neve, con gli slittini e il vino caldo e speziato e insieme trovare le fragole, e la sabbia e le cicale. C’è un treno che parte stanotte, forse è in orario forse sono io che l’ho aspettato o forse è fermo da sempre ad aspettare me. Voglio salirci sopra e sapere finalmente dove va, lasciare le mie impronte ferme sulla neve, che forse tornerò, ma più di tutto ora voglio andare.

Mi salverà seppellire, pestare la terra, mettere in dimora fiori che non appassiranno. Uscire di fretta con il buio, lasciare le chiavi e un biglietto con scritto grazie, sono stata bene. Mi salverà riconoscermi, ingranare la marcia, superare. E finalmente starò al fianco e non dovrò per sempre guidare.

Varchi

Sento battere un cuore, credo sia il mio. Ha battiti da film mediocri a tarda notte, da tappeti polverosi, luce fioca di candela e giorni che non decollano. Un battito stanco. Ci sento la fatica di individuare la verità, tra le lenzuola disordinate e cose che si accumulano l’una sull’altra fino a non capire cosa sia stato messo per primo, la fatica di esistere per sé privata del piacere di esistere in sé. Tante volte è stato così, eppure questa è la prima volta. Come trecce che non assorbono l’acqua e incroci di strade da cui nessuno passa, un mondo di semafori accesi in un traffico assente. Dove siamo rimasti, da dove ripartiremo, chi riconosceremo, chi ci sarà straniero. Come la domanda che viene dopo la risposta, un ordine sparso che non riconosco, una linea temporale che si confonde lontano in quell’orizzonte che è orizzonte sempre. Lo spazio più grande è fin dove arriva lo sguardo, come l’infinito che si rivela infinito davvero. Sogno quello stesso spazio anche dentro di me, voglio accogliere moltitudini, spremere arance, guardare le stelle cadere, tenersi per mano e che sia il tempo a rincorrerci, per una volta. Respirare, affacciarci alla vita, saltare su treni in corsa, rivedere programmi, rimescolare carte da gioco per partite che non faremo, incontrarci ancora una volta e poi due e poi per sempre.

Vivere per sempre

Un giorno mi hai detto “Perditi” senza sapere che ero perduta da tempo, mi hai detto spegni tutto, senza vedere che era tutto già spento.

La vita è materia strana, a volte non ti da quello che vuoi ma ti toglie sempre quello che intendi perdere. E’ stato così che hai perso me.

Alcuni dolori trapassano il cuore e arrivano alle ossa, non tengono conto dei muscoli, non considerano il fiato, ti legano con un filo sottilissimo e stringono, stringono forte finché tu non li accogli. Questo fanno, ti rendono immobile per un po’.

Eppure io sono libera, nel sentirli occupare un posto che non gli spetta, il mio dolore non è l’intero, è solo una parte.

Hai lasciato andare il passato senza lasciare andare me; è così che ti ho perso, rimanendo.

Una cosa non farò, perdermi ancora, vivere al buio di giornate strambe, attendere che l’ombra se ne vada. Io vivo con l’ombra, è la mia specialità.

Capirsi non è spiegarsi, capirsi è un istinto, spiegarsi il superfluo.

Ci rivediamo nel mondo dei vivi, dove si vive per sempre.

Ti guardo e vedo me

“Behind her eyes there’s curtains, and they’ve been closed to hide the flames… remains.”

Ho trovato delle vecchie fotografie in cui avevi gli occhi tristi, quasi sempre. E dei capelli che non ti piacevano e che invece oggi penso ti stessero proprio bene. E che eri bella, anche se pensavi di non esserlo affatto. Ti guardo nella tua postura di spalle alzate a difenderti da tutto, eccetto che da te stessa, la tua peggior nemica. Nessuno in tutti questi anni ha pensato cose così brutte di te come quelle che hai pensato tu: nessuno mi amerà mai, nessuno mi vorrà davvero bene, non sei capace a fare niente, sei grassa, sei scema, fai schifo. Hai messo in circolo per te stessa tutto il male possibile e poi ti sei ammalata, di un male speciale che è difficile estirpare: l’invisibilità. Hai desiderato a tal punto di sparire che sei sparita davvero, nascosta così bene agli occhi di tutti che nemmeno tu sapevi davvero dov’eri e chi eri. Ma tutto ti si può dire ma non che non hai lottato, non hai mollato mai, hai resistito a tutto il dolore auto inflitto, ai battiti distanti che venivano meno, alla disperazione del non sentirsi esistere davvero, hai resistito alla tentazione della fuga. Ed oggi, aprile 2020, eccoci qui, io e te, la stessa persona, eppure due persone così differenti che sembra difficile crederlo. E’ grazie a te se ho smesso di vergognarmi per le cose brutte che ho fatto e pensato; per le bugie portate avanti per mesi, le finte bende, i denti spezzati sul marciapiede quando l’alcool era l’unica via, la voglia di morire, azzerare tutto e lasciare vuoto il tempo. E’ grazie a te se ora non ho mai paura della verità, che ferisce e ti fa versare fiotti di sangue, a differenza delle bugie che ti feriscono uguale ma non ti fanno versare sangue, perchè il sangue è cosa reale, da cui non si scappa. E’ grazie a te se ho imparato l’indulgenza e il dono prezioso, preziosissimo della sensibilità. Mi dispiace tu abbia dovuto soffrirne così tanto, è stato ingiusto ma era necessario, doveva andare così. E ti devo praticamente tutto, perchè da quando mi hai indicato la strada e io l’ho percorsa, niente è stato più uguale a prima.

Quindi oggi ti dico grazie. Per avermi seguita ad ogni passo, per avermi aiutata a conservare le cose belle di te, per non avermi permesso di rimanere sconfitta e per non avermi tirata giù senza spiegarmi come risalire.

E con la fretta di vivere che ho imparato anche da te oggi ti dico addio. Rimarrai sempre la ragazzina dagli occhi tristi che si odiava al punto di voler rinunciare a se stessa, seduta a scrivere e a rileggere e riscrivere e rileggere, coi vestiti di due taglie più grandi e i capelli rasati e le troppe sigarette e il cuore in pezzi. E’ stato quando ho imparato ad amare te, che ho imparato ad amare davvero.

Ti porto nel cuore.

Daria

 

 

Lettera ad un ragazzo del futuro

(Ciao ragazzo,
ti do il benvenuto nel mio tempo, un passato che non conosci, un passato che non è il tuo. Oggi è il 25 marzo del 2020, i ragazzi giovani come te lo chiamano venti venti, e io, la mia città, l’Italia intera siamo alla terza settimana di quarantena; come nei film catastrofici che si vedono al cinema, un virus che è stato battezzato Covid-19 sta infettando moltissime persone e molte sono morte. Ha iniziato la sua corsa in Cina e ora è qui da noi ma è arrivato poco per volta in tutto il mondo e come sempre l’uomo risulta l’essere più impotente. Un giorno forse tutto questo lo studierai e ti scrivo queste poche righe perchè tu sappia cosa si prova, cosa provo io. Se mai tutto questo dovesse capitare a te, spero ti aiuti ad essere pronto, perchè noi non lo siamo stati.)

Il tempo e lo spazio non fanno che coincidere, manca il movimento, l’incidenza del caso, esiste solo questa realtà. Tutti accomunati dallo stesso luogo, la casa, eppure tutti distanti. Ogni cosa disegna un cerchio, te ne accorgerai, e iscritto nel cerchio ci sei tu. Per la prima volta forse capirai che il centro della tua vita sei proprio tu, che nessuno può fare le cose per te, che nessuno decide o influisce davvero, solo tu. I primi giorni sarai forte e spavaldo, ti sembrerà di avere il tuo mondo sospeso sulle mani. Cercherai le persone che ami, forse anche la tua ex fidanzata che non ti ha amato abbastanza e che non ti cercherà, vedrai il passato come un tesoro inestimabile e il presente come un frutto maturo, una primizia nata all’improvviso. Ci sarà il tempo per fare qualsiasi cosa tu voglia, credimi, non ti sembrerà vero: scegliere e fare, scegliere e fare. Ti sentirai fortunato, leggero, importante. Le persone che ti vogliono bene ti chiederanno come stai, e tu starai sempre bene. I primi giorni ti lascerai andare all’ozio più sfrenato, salterai le docce, mangerai quello che ti va quando ti va e ad un certo punto involontariamente perderai di vista la cosa più importante: te stesso.

Quando questo accadrà metti in atto dei gesti salvavita, ogni giorno tirati su, lavati, metti dei vestiti puliti, fai cambiare l’aria, fai il letto, lava le stoviglie. Concentrati sull’ordine intorno a te, ti sembrerà stupido ma corrisponderà all’ordine che hai dentro. Ricomincia a far accadere le cose, non aspettarle ma trovale, stanale dal profondo della tua testa; questo tempo non ha casualità, le cose accadono solo perchè tu le agisci. Inizierai a sentir cambiare il tuo corpo, ti sentirai più stanco oppure troppo energico o inizierai ad avere sensazioni fisiche di immobilità, la schiena le braccia il cuore, tutto si modificherà. Pensa al tuo corpo che si muove e muovilo più che puoi, ti servirà. Al tuo cuore non pensarci troppo, sarà lui a badare a te, è tuo alleato. Ascolterai le sirene delle ambulanze che passeranno sotto casa o in lontananza a tutte le ore, ti commuoverai per qualcuno che sta male, per persone che perderanno i giorni dentro un ospedale, per persone che perderanno tanto. Ascolterai le notizie, avrai amore per gli esseri umani, avrai paura.

E poi un giorno tutti si sentiranno un’unica cosa e succederà anche a te, ci si ritroverà distanti a cantare dai balconi a condividere spazi che sono la normalità negata, il segno di una comunità che si unisce. Durerà poco ma ti darà speranza. Ti ritroverai presto ad organizzare mentalmente cose che mai avevi organizzato, quando fare la spesa, quando buttare la spazzatura, quando leggere, quando dormire, quando sentirti assente. Poco per volta cercherai un senso, ma il senso sei tu. Dai balconi respirerai l’aria buona della città senza macchine, l’aria che arriva dalle montagne che forse non hai mai sentito, l’aria della neve senza la neve. Ti si allargherà il respiro nelle possibilità infinite di vita sospesa, di mondi che non conosci, di riflessioni che non hai fatto, di persone che non hai mai stretto a te. Ti sarà negato qualunque contatto con gli altri e allora tu lo immaginerai, lo produrrai dentro di te come una promessa.

Poco per volta ti allontanerai dal centro, concediti la debolezza di non essere, di spegnerti per qualche tempo, di interrompere ogni aspettativa. Non lasciare che il tuo pensiero vada troppo avanti nel tempo, nessuno ti dirà quanto dura l’isolamento, nessuno lo sa. Questo è il momento in cui sentirai che le forze ti abbandonano, che l’equilibrio è un’invenzione, che la tua vita non tornerà normale più. E ti mancherà la natura, incontrare un amico per caso mentre passeggi, ascoltare il tuo gruppo preferito in mezzo a sessanta mila persone, l’odore del caffè di un’altra casa, le lenzuola della ragazza che amavi, l’abbraccio di tua mamma, persino i rimproveri. Fai in modo di non mancarti tu. Raggiungiti, ritrovati, non hai altro scopo.

E poi un giorno realizzerai che siamo tutti esseri umani soli, che questo è solo il prototipo di una vita, un modellino in scala, un puzzle dalla cui scatola sono caduti dei pezzi. Ascoltami bene, questo è il momento cruciale. Ti spaventerai e crederai che nella solitudine il mondo che era nelle tue mani sia finito a terra, messo da parte, dimenticato. Eppure in questa sensazione di solitudine profonda sentirai che tu sei tutti e tutti sono te, e che la tua storia non è solo tua.

Quindi alzati, non fuggire, guarda fuori, cresci, condividi la tua strada. Troverai un compagno di viaggio, e poi un altro e poi tanti. Sentirai il cambiamento, la potenza dell’essere vivo, la stampella che ti ha aiutato a camminare. E quando sarai davvero pronto accetterai che il cambiamento, la potenza, la vita, la stampella e il cammino non sei che tu.

Godi della presenza del tuo tempo, ti prometto che non lo dimenticherai.

Ciao ragazzo.

 

 

 

Sinonimi e contrari

Mi troverete a ripetere che sono matta; per il mio sentire infinito, per ciò che ho preferito smettere di desiderare, invece di accettare di averlo perso; per la mia doppia testa che come il mondo alterna la luce al buio e per la mia coppia di cuori, uniti dall’incapacità di odiare.

Mi incrocerete mentre incollo i pezzi di qualcosa che si è rotto, e non lo vedrete facilmente perchè lo custodisco da sempre tra la pelle e il sangue, o mentre perdo la testa per ciò che vi sembra un nonnulla, e forse ci rido su, perchè si ride davvero solo delle cose serie.

Mi osserverete mentre annullo tutte le distanze, o scelgo di non mentire come solo i più abili bugiardi sono in grado di fare, o mentre impasto il dolore muovendo ogni costola, e lo trasformo in vista e udito e olfatto, perchè anche l’acqua calda toglie la sete.

Mi farete passare mentre attraverso la strada in obliquo e se non avrete fretta di ingranare la marcia per andare, sul ciglio della strada vi indicherò dove si parcheggia, perchè più importante della sosta esiste solo la fermata.

E allora sinceri mi direte mi ricordo di te, so bene chi sei. E io vi dirò grazie, finalmente lo so anch’io.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rincasare

Come imbandire una tavola di specchi, senza poter annoverare i gesti che nel compierli si sommano si moltiplicano e tu sei sempre una.

Come finalmente diventare me, staccandomi dal dove e dai quando e ancor più dai se.

Lentamente rinasco.

Come pensare di avere un polso soltanto, il battito lì nasce e muore, ma io di polsi ne ho due.

Come incappare in un nodo e studiarlo e rompersi le mani e sudare e sanguinare e con precisione scioglierlo.

Per il mio tempo spezzato dal mio troppo dolore, per il mio senno che infine mi ha guarita, per questo inverno durato mille estati.

E per me, per il mio pezzo di storia in fiamme che ho lasciato bruciare, per l’invenzione del vivere che tanto mi si addice.

E per domani, che mai più vorrò confondere con oggi senza aver visto l’oggi finire con gloria.

Sui miei piedi tutta intera, torno a casa.

Amo ergo Sum

“No one said that that time would come
To finish what’s begun” (Calexico, Low expectations)

Perifrasi che vanno avanti per giorni e non solo, distanze che si allungano e poi si accorciano per poi allungarsi ancora e così all’infinito. Tende che si muovono con l’aria della sera, prendono a schiaffi tutti, le zanzare la nostra giornata, prendono a schiaffi anche noi. Le porte che si chiudono dietro i nostri passi, a volte lo so, che rimango fuori. A pensare a quelle volte in cui ero dentro con te a vivere un amore in cui d’amore non s’è parlato mai. La forza è stata rimanere, esserci, proteggerci l’un l’altro per non farci male senza tagliarci con quelle lame tremende che sono le parole; dette e ancor peggio quelle non dette.
C’è stato un tempo che è stato solo nostro, l’abbiamo reso creta.
E un tempo che è corso via mentre lo guardavamo da lontano come si fa coi bambini che esplorano il mondo.
Questo è il tempo sospeso, in cui si fatica a ricordare che si cammina anche da soli. E’ il tempo che precede gli addii o i ritorni ad un amore più reale. Se solo lo sapessimo, non lo vivremmo mai.
Ma questo è il bello, che come ogni autentica bellezza sa essere crudele.

 

(non si ride mai,oh)