To avoid memory

Si sono fatte strada alcune idee di me, elaborate con cura e rancore chissà, crollate dal cuore e sparse come aceto su ferite vecchissime. Si dice che io non sappia tenere a bada il mio presente. Si dice che quello che ottengo sia lo scarso meno di quello che potrei davvero avere. Si dice che mi butto via, che rifletto sulla cenere. Gira voce che la mia macchina sia ferma senza dove sull’autostrada del sole, con le chiavi inserite nel quadro e il volante che scotta dal troppo caldo. Si dice che io mi creda a volte poco, a volte troppo, si dice che con me non si costruiscono le fondamenta a metà, che non ho la pazienza di aspettare l’arrivo delle cose, che mi sorprendo per quello che non mi interessa davvero e che lascio marcire le cose che in fondo più di tutte vorrei. Si dice che perdo tempo con un adesso che mi impoverisce, che dico troppi pochi no, che cerco sempre l’approvazione di chi mi approva già, che sono in attesa di quello che non mi serve e che me ne frego, me ne frego di me. Così oggi pomeriggio ho svuotato gli armadi, piegato per bene le cose in disordine perenne, lasciato scorrere quel fastidio, che un tempo era un dolore ma che ormai è passato, e non fa male più. Guardato la mia faccia che invecchia e ringiovanisce ogni giorno, ristrutturato il pensiero, mescolato le carte senza sceglierne nessuna. Perchè quello che ho sentito di me, per una volta, è tutto vero, steso al sole, primavera a nord. Solo le persone che hanno davvero pensato a te, riflettuto sul tuo valore, riconosciuto il centro vero di ciò che sei, sanno dire dove sbagli, perchè gli sbagli in fondo si assomigliano tutti, e tutti ne facciamo un bel po’. Ad onor del vero, si dice anche che da me si imparano molte cose, che è così semplice volermi bene che quel bene diventa grande e una volta, forse, poteva anche essere amore. Si dice poi che sono bella, proprio mentre guardo fuori dalla finestra e fingo di non sentire. Perchè è sempre più facile credere alle cose brutte, ci avete mai fatto caso? E per chi azzecca la coltissima citazione, un premio in denaro.

E’ giunto il momento di mettere tutto sottosopra, è il momento giusto per cambiare, oh si.

plug-in del 17/05/2012:  a dimostrare tutte le teorie dettagliate in precedenza riferisco conversazione telefonica di ieri pomeriggio:

F: mangiamo insieme stasera? – D: no, stasera non ci sono – F: allora domani, non ho allenamento fino a venerdì – D: no, guarda, meglio di no – F: ma che cazzo ti succede? – D: niente – F: ma sei fuori o sei stronza? (ecco cosa succede a dire troppe poche volte no, che quando ne dici due tutti insieme, o sei pazza, o sei stronza)

eh si, come dicevano i Blind Melon, when life is hard, you have to change

On Air: silence, please

Quando ieri sera selezionavo cd e puntate di serie tv nell’intento di prepararmi per la partenza di stamattina, ho realizzato, senza troppa preoccupazione, che il mio viaggio era per lavoro e che forse non avrei avuto il tempo e la tranquillità necessaria per pensare a me e alle velleità di cui proprio non riesco a fare a meno. Ma poi mi sono detta, vorrò mica stare tutto il tempo delle mie serate appresso a quattro babbioni fissati con l’aziendalismo che non capiscono nulla di moda donne e rock ‘n roll? Giammai. Così, oggi, con poche ore di sonno sereno alle spalle ho preso il treno, riguardato con giusto distacco gli appunti per non arrivare impreparata alla mia giornaliera recita di stile e sono arrivata precisa e profumata al meeting point che manco i rave vecchia maniera. La giornata è stata un’unica lunga noia intervallata da stress, manco sto a dirvelo ma il bello è stato, verso le 19 arrivare finalmente all’hotel che mi ero prenotata da sola con calcolata nonchalance: stanza doppia ad uso singolo, grazie. Marmi, capitelli e profumo di niente. Tovaglie di pizzo e tavolate regali. Un posto prestigioso, mi dice il gran capo con la sua solita faccia di chi pensa di saperla lunga e invece non sa un bel niente di niente. Sulle pareti fotografie celebrative di varie star piuttosto famose che sono intervenute qui chissà quando e chissà per dove. Non troppo lontano dalla mia stanza numero 27, una foto di Ligabue con i capelli scalati, parecchi chili in più alla lambrusco e pop-corn e faccia confusa. Poco fa, approntato il mac in prestito fornitomi da un caro amico, accendo la tv in dotazione e su Rai2 uno speciale su Ligabue. Se la foto che ho visto qualche ora fa fosse un po’ più recente mi aspetterei a questo punto di ritrovarmelo a colazione domani mattina, possibilmente non in camera, grazie. Mollo tutto per qualche minuto, mi butto sotto la doccia e mi ritrovo a patire la solitudine, uno di quei momenti in cui vorresti sentir squillare il telefono e trovare dall’altra parte qualcuno che cerca proprio te. Senza farlo apposta, mentre me ne sto con i capelli avvolti in un asciugamani di fattura miracolosa, sul letto pieno zeppo di cuscini, il mio cellulare giace con una chiamata non risposta. Numero sconosciuto, alla rubrica e a me. Digito lo sconosciuto in questione su google e trovo: Hotel Villa Ciccio, Ischia. Che ci sia anche lì una foto di Ligabue che aspetta me?

Va beh ragazzi, sarò di nuovo a casa tra pochi giorni, e va bene così, perchè ho finalmente dato il bentornato a qualcosa che attendevo da tempo.

(Io, comunque, lo dico da sempre che Fede Poggipollini è un gran figo)

On Air: Verlaine – Rivoluzioni a pochissimi passi dal centro

Qualche anno fa, in un solito pomeriggio di confidenze ed esagerazioni, un mio carissimo amico mi disse: (parafrasando) sai d, quando sei nel bel mezzo di una tempesta di sabbia, l’unica cosa giusta da fare è coprirsi per bene gli occhi e respirare con parsimonia. Non serve a nulla affannarsi per continuare a camminare controvento. Quando la tempesta finisce, le dune non sono più quelle che tu ricordavi, e quello è il tuo momento per  decidere la strada che farai. Ci ho pensato poco fa, mentre cercavo un consiglio saggio da dare ad una persona che ne aveva bisogno. E ci ripenso ora, conclusa la telefonata con due risate d’altri tempi e ripristinato in parte il sereno. Dato il momento e il periodo, con qualche anno in più fra le mani, vorrei seguire davvero quel parere così brillante e profondo, e già mi stavo preparando ad incurvare le spalle e a stringere gli occhi più forte che posso, badare alla lungimiranza e al buonsenso. Ma quello che avrei fatto allora, non va più bene per me, non sono più quella cosa lì, non cammino più in mezzo a dune di sabbia. E così mi sono chiesta: e se, per questa volta, per la prima volta, volessi essere io la tempesta?

On Air: Butcher Boy – React or Die

Ieri mattina, approfittando della giornata di riposo da lavoro, che ancora faccio fatica a crederci, non mi andava di ciondolare qua e là tra una stanza e l’altra (poche) della mia casa in affitto, così sfidando la temperatura anti primaverile e la prevedibile pazzia dell’aprile che finiva, sono uscita per camminare senza una precisa meta, lo scopo era non stare dietro ai miei pensieri confusi ma guardarmi fuori.

 Torino in questi giorni ha tutta l’aria di una signora perbene appena uscita dal parrucchiere, con la piega ben fatta gonfiata dall’umidità, soldi sprecati a farsi bella per nessuno che sappia apprezzare. Come quando ero bambina ho sbirciato le vetrine, osservato la gente al mercato che tentava di scegliere la verdura migliore al prezzo migliore, rimediato qualche sorriso da passanti sconosciuti e cercato di tenere alto il mento, con la mia solita postura, mani in tasca e sciarpa al collo, di chi sa il fatto suo, il fatto mio. Girato l’angolo di una delle mille viette solitarie quasi vado a sbattere contro un signore che esce da un negozio, chiedo scusa, sento no scusi lei signorina, e mi riavvio. Ma girandomi a guardare leggo: RICAMBI. Vendo e compro pezzi. Tornando verso casa non riuscivo a smettere di pensarci su. Mi girava nella testa la quantità di cose che nella mia fantasia avrei potuto vendere a quel negoziante così vecchia maniera, perchè alla fine di tutto ci sono così pochi pezzi fondamentali nelle cose, più frequentemente ogni aggeggio funziona di per sè e con un ricambio come si deve sembra essere lo stesso anche se non lo è più.  Sembra scontato pensare che ci sia un solo modo di far funzionare un meccanismo complesso, e che quel modo sia mantenerne integre le condizioni di partenza, destinarlo all’uso comune, non separarlo dai suoi pezzi originari. E invece no, staccarne una parte, sostituirla con un’altra di simili fattura e caratteristiche non ne preclude mai il funzionamento. Così accade per le cose, e per le persone, e così accade anche per me. Credo, a questo punto, di aver fatto buoni affari.

(Uno dei pezzi originari è saltato quella volta che sono stata 4 ore di una serata ad aspettare sotto un portone qualcuno che non sapeva fossi lì. Ero così giovane e faceva così freddo. Poi, quand’è sceso, mi ha stretta a sè e mi ha detto non dovresti essere qui. Vedete? I meccanismi complessi continuano a funzionare anche se ne manca una parte, che la si voglia, un giorno, sostituire o no.)

(E come dice Frassica: “Sagittario: avete stoffa da vendere. Cancro: avete stoffa da comperare.”)